Test prenatale non invasivo


Test prenatale non invasivo: studio del DNA circolante nel sangue materno 

La diagnosi prenatale di anomalie cromosomiche è generalmente effettuata su un prelievo di villo coriale (villocentesi, I trimestre) o di liquido amniotico (amniocentesi, II trimestre) che permettono di studiare l’intero assetto cromosomico del feto. Recentemente è stato scoperto che, nel corso della gravidanza, nel plasma materno è presente DNA libero fetale (cffDNA) e lo sviluppo recente di tecnologie avanzate di analisi del DNA hanno aperto nuove prospettive per lo sviluppo di protocolli di indagine prenatale non invasiva, comunemente conosciuta come Test Prenatale Non Invasivo (Non Invasive Prenatal Testing o NIPT).

 

NIPT – Cos’è e cosa vede 

Analizza il DNA libero fetale (cffDNA) presente nel plasma della donna in gravidanza attraverso un semplice prelievo di sangue materno a partire dal compimento delle 10 settimane di gestazione (regolo ostetrico). Il cffDNA analizzato proviene dal normale processo di sfaldamento di cellule fetali (principalmente placentari) nel circolo materno e rappresenta circa il 10-15% dell’intera quantità di DNA libero circolante nel plasma materno. 

Il cffDNA viene utilizzato per la ricerca delle aneuploidie cromosomiche più comuni: 

  • Trisomia del cromosoma 21 (Sindrome di Down) 
  • Trisomia del cromosoma 18 (Sindrome di Edwards) 
  • Trisomia del cromosoma 13 (Sindrome di Patau) 

nonché per la determinazione del sesso fetale e delle aneuplodie dei cromosomi sessuali.  

Durante la gravidanza alcuni frammenti di DNA del feto e della placenta circolano nel sangue materno. Il DNA fetale è rilevabile sin dalla quinta settimana di gestazione, la sua concentrazione aumenta nelle settimane successive e scompare dopo il parto. La quantità di DNA fetale idonea per eseguire il test è riscontrabile dalla decima settimana di gravidanza in avanti. Il test si esegue mediante il prelievo di un campione ematico (10 cc di sangue periferico) della gravida da cui viene isolato il DNA fetale presente nel circolo materno che viene sequenziato al fine di determinare la presenza di eventuali anomalie dei cromosomi. La risposta viene fornita in 8-10 giorni lavorativi ed è estremamente affidabile, in quanto ha un’attendibilità superiore al 99% nel rilevare le Trisomie 21, 18 e 13, e del 95% per rilevare la monosomia X con percentuali di falsi positivi inferiori allo 0,1%. Il test prevede, inoltre, la determinazione del sesso fetale, informazione aggiuntiva gradita alla paziente ed utile alla gestione di eventuali malattie genetiche legate al sesso. 

Questa tecnica è, al momento, indicata in : 

  • gravidanze singole nelle quali è sconsigliabile la diagnosi prenatale invasiva (elevato rischio di aborto spontaneo, gravidanze derivanti da fecondazione assistita), 
  • positività ai test di screening del primo o secondo trimestre,
  • pazienti considerate comunque ad alto rischio,
  • pazienti che richiedono una attendibilità maggiore rispetto al test di screening del primo trimestre (99% per la S. di Down contro il 90%)  

Indicazioni allo studio del DNA fetale nel sangue materno.

Non è invece, al momento, da suggerire in prima istanza in donne a basso rischio o in gravidanze gemellari (insufficiente validazione scientifica). L’utilizzo delle cellule fetali ottenute dal sangue materno per lo screening di anomalie genetiche e cromosomiche non deve essere proposto quale alternativa alla diagnosi prenatale invasiva che rimane, ad oggi, l’unico strumento per accertare il cariotipo fetale anche ai fini dell’eventuale interruzione della gravidanza, e non sostituisce, per l’elevato costo, lo screening combinato del primo trimestre. 

Questo esame inoltre non fornisce informazioni su altre patologie cromosomiche diverse da quelle sopracitate (ad esempio le traslocazioni). Si tratta comunque di un test di screening molto accurato per la ricerca delle trisomie 21, 18 e 13, ma non di una diagnosi di certezza. L’ecografia del primo trimestre rimane, comunque, un momento insostituibile del percorso della gravidanza ed integra questa analisi fornendoci ulteriori elementi di conoscenza. 

Infatti le gravidanze con riscontri ecografici suggestivi di patologie fetali dovrebbero essere studiate con altre indagini, quali lo studio del cariotipo fetale con villocentesi od amniocentesi. I dati in letteratura indicano che uno dei limiti della metodica è rappresentato dalla presenza di mosaicismi a bassa percentuale e dalla possibilità che la quantità di DNA fetale circolante non sia sufficiente ad ottenere un risultato (ciò accade dall’1 al 5% delle gravidanze e soprattutto nelle donne obese ed afro-caraibiche). 

Si tratta, quindi, di un test di screening di seconda linea estremamente attendibile che consente di ridurre drasticamente il numero di procedure invasive ed il relativo rischio di aborto e che richiede, comunque, una attenta consulenza genetica e la diagnosi prenatale invasiva tramite villocentesi o amniocentesi per la conferma nei casi risultati positivi. Altro elemento che ne limita, almeno al momento attuale, l’uso è il costo elevato dovuto alla complessità dell’isolamento e dello studio del DNA fetale presente nel sangue materno. 

Il test prevede anche l’opzione di un approfondimento diagnostico di secondo livello, che consente di individuare la presenza nel feto di alterazioni cromosomiche strutturali ed alcune comuni sindromi da microdelezione/microduplicazione (S. di Di George, S. cri-du-chat, etc.). 

E’ importante sottolineare quindi che il NIPT non è un test diagnostico, ma un test di screening. Tuttavia il suo elevato grado di specificità e sensibilità (>99%) rende questo test molto più attendibile di altri test di screening prenatali non invasivi al momento disponibili. 

Il test è rivolto a tutte le donne in gravidanza, naturale o medicalmente assistita (anche eterologa), singola o gemellare (non più di due feti). 

I risultati del test sono disponibili entro max 10 giorni di calendario dal prelievo ematico.